Oratorio campestre di Santa Maria in Binda a Nosate

Epoca di costruzione: sec. VIII

 

L’interno della chiesa si presenta affrescato; queste pitture, secondo due iscrizioni, risalirebbero al 1512, furono eseguite quali ex voto da giovanni Maria de Lione o de Leone della Castellanza per conto dei signori corvolo di Nosate e Giovanni de Cantono. Qualche altro affresco si aggiunse più tardi, nel XVIII secolo. I temi principali consistono in Madonne in trono, Madonne del latte, Danza macabra, Inferno, Adorazione dei magi.

 

 

L’antica chiesetta sorge isolata tra i prati, sotto la costa del paese. Di origine longobarda, risale all’VIII secolo e prende il nome dalla località dove è sorta. Infatti “binda” in longobardo significa “striscia di terra”, cioè la striscia di terra tra la costa del paese ed il Ticino. Secondo un’antica tradizione popolare, infatti, nel periodo longobardo, in quella zona esisteva anche un centro abitato chiamato Binda. Dedicata in origine al culto dei morti, la chiesa aveva una funzione funeraria (fin dall’età del ferro), testimoniata dalle parecchie tombe rinvenute nel 1900, contenenti olle ed oggetti del periodo longobardo, oggi conservati al Museo del castello di Milano.

 

L’esterno si presenta con mattoni a vista, con una fonte d’acqua sul lato destro, e la facciata, con un unico ingresso, dà accesso ad una sola navata, con ai lati due finestrelle ad arco, tipiche delle piccole chiese che non avevano aperture sulle pareti laterali.

 

Nel tempo la chiesa ha subito alcuni ampliamenti, oltre alla costruzione, nel 1936, del campanile neoromanico sul fianco meridionale.

 

Di notevole pregio sono gli affreschi, in parte rovinati, risalenti al 1512, attribuiti ad un maestro di nome Giovanni Maria di Lione, che ornano le pareti interne della chiesetta. Osservando questi dipinti, ciò che colpisce è la ripetizione per ben sette volte del tema della Madonna con Bambino, che attesta la fortissima devozione mariana degli abitanti del luogo.

 

Nella parete di sinistra, i primi quattro affreschi rappresentano Madonne in Trono con il Bambino, con la Vergine con il Figlio sulle ginocchia, in atteggiamenti e colori diversi. Nella prima appaiono solo Maria e Gesù. Nella seconda la Vergine tiene in mano un uccellino, forse simbolo dell’anima salvata che vola verso Dio. Nella terza il Bambino sembra giocare con una mela, come probabile allusione al peccato originale, mentre nella quarta la Vergine ha un libro tra le mani. Nelle tre successive rappresentazioni, di cui è visibile solo la prima, la Madre porge il seno al figlio, nell’iconografia tipica della Madonna del Latte, tema diffusissimo nelle chiese campestri.

 

Tuttavia il più singolare tra gli affreschi rinvenuti in Santa Maria in Binda è rappresentato dalla “Danza Macabra”, dove uno strano corteo sfila con figure evanescenti come fantasmi, scheletriche, che s’accompagnano a personaggi riccamente abbigliati, dal nobile portamento. I teschi con le orbite vuote, ghignanti, avvolte in una atmosfera surreale, dove un pastorale si incrocia con una alabarda e dove le movenze sembrano quelle di una danza, una danza macabra. Il soggetto, quello dell’incontro tra vivi e morti, ha avuto grande diffusione nell’arte religiosa fra XV e XVII secolo in Europa, come espressione di una riflessione sui temi legati alla caducità della vita terrena, diffusa dai predicatori francescani e domenicani, e amplificata dalle epidemie e dalle pestilenze che falciavano intere generazioni, abbattendosi su territori vastissimi. Mentre le raffigurazioni della danza macabra, in area tedesca e francese erano molto numerose, in Italia risultava meno presente, attestata quasi esclusivamente lungo l’arco alpino, ma per lo più sconosciuta nel territorio ticinese. Quella di Nosate riveste dunque un carattere di eccezionalità. Però, essendo stata per molti secoli una chiesa cimiteriale, non stupisce di ritrovare qui un ciclo pittorico che rievoca il tema della morte.

 

Nella danza macabra, dipinta sulla fascia inferiore della parete sinistra, apre il corteo uno scheletro avvolto da un sudario che, reggendo una bara sulle spalle, si volge verso una figura abbigliata come un pontefice. A seguire, un secondo scheletro, munito di bastone, porge la mano a un cardinale, vestito di rosso. Con un ritmo costante, altri scheletri si frappongono ad un arcivescovo, a un vescovo, a un abate, a un giovane elegantemente agghindato, a un prevosto con il breviario e a un prete nell’atto di benedire. Sette “coppie”, ma forse altre sono andate perdute durante i lavori di ampliamento del presbiterio, realizzati nel Settecento. Che colpisce, in questa raffigurazione in Santa Maria in Binda, il clima tranquillo, quasi rilassato, in cui si muovono le figure, nonostante il tema macabro della scena. Nulla di tragico quindi in quello che appare come in un autentico “Memento Mori”, a ricordare che la morte è un fatto naturale e arriva per tutti, al di là del potere o dell’autorità, anche ecclesiastica, di cui si può essere investiti nella vita terrena. Una morte da vivere comunque con fede e come speranza di salvezza eterna, espressa dalle altre immagini dipinte, con la Madonna e il Bambino.

 

 

INFORMAZIONI COPIATE DA:
www.lombardiabeniculturali.it/architetture/schede/MI100-05142/
www.exponiamoci.it/it/node/143

  

        

        

        

     

  

     

     

     

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