24 maggio – Tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo!

 

La Santa Famiglia si recò come d’uso a celebrare la settimana pasquale a Gerusalemme.
Al ritorno l’adolescente Gesù, ormai dodicenne, si distaccò dalla carovana dei Nazareni, per restarsene inosservato nella Città Santa e nel tempio (Luca 2, 41-50).
Voleva essere questa un’affermazione della sua dignità messianica? la casa di Iahvè era altresì casa sua.

 

«I suoi genitori si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: “Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo”. Ed egli rispose loro: “Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”. Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro» (Luca 2, 41-50).

 

Nessuno potrebbe comprendere il loro dolore! giacchè la più grande delle sciagure che ci potrebbe incogliere è quella di perdere Dio.
Fu all’alba del secondo dì che Maria, recatasi con Giuseppe al tempio pel sacrificio del mattino, attraversando l’atrio, percepì da dentro una delle aule una voce a lei ben nota. Era quella del Divin Figlio che stava disputando coi Dottori, proponendo dei quesiti biblici e rispondendo alle loro interrogazioni.

Una ventina d’anni dopo farà la stessa cosa lungo la via di Emmaus coi suoi due compagni di viaggio: attraverso la Thora e i Profeti egli vorrà dimostrare che il Cristo avrebbe dovuto patire la morte di Croce per quindi resuscitare ed entrare nella sua gloria.

 

«Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: “Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo”» (Luca 2, 48).

Chi mai fra tutte le creature, angeliche e umane, potrebbe osare di rivolgersi a Dio, chiamandolo addirittura proprio figlio, per domandargli del suo operato?
Eppure Maria fece, dovette anzi fare così, perché essa era sua Madre e toccava a lei di custodire l’adolescente Prole contro le insidie di Archelao (figlio di Erode) e del Sinedrio.

Anche Giuseppe aveva delle responsabilità legali, ma egli umilmente non osa, lasciando che faccia  Maria per ambedue: «Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo».
Non è già un rimprovero né un lamento. Anzi è una preghiera, perché il Logos voglia rivelare ai suoi genitori l’arcano di quella tridua essenza. Solo i Genitori di Gesù conoscevano chi egli fosse: il Cristo, il Figlio del Dio vivente.
Maria chiama Giuseppe padre di Gesù perché era considerato tale di fronte alla Legge.

 

 

Dai capitoli XX – IN CASA DEL PADRE e XXI – I DIRITTI DELLA MADRE e XXII – I DIRITTI DEL PADRE CELESTE del libro L’EVANGELO DI NOSTRA DONNA del cardinale Ildefonso Schuster, edito da Ricordi Officine Grafiche S.p.A., 1954

 

 

Gesù tra i dottori
miniatura di Toros Rosling
fol. 213v del T’oros Roslin Gospel
Vangelo manoscritto nel 1262, ora conservato ne The Art Walters Museum, Baltimora, Maryland

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